QUANTE BALLE NELLA DEMAGOGIA CONTRO GLI IMMIGRATI 

È una favola la narrativa secondo la quale noi saremmo “generosi” con gli immigrati e con i rifugiati. Siamo noi ad avere bisogno di loro, per far funzionare le nostre industrie, i cantieri edili, i servizi alla persona (badanti), molte attività di servizio privato (ristorazione, pulizie, ecc.). Il trend demografico europeo non lascia spazio a dubbi: la verità – trascritta in numeri – è che la popolazione in età lavorativa nell’UE diminuirà di 7,5 milioni entro il 2020 e che quindi è importantissimo avere una politica coordinata dell’immigrazione che consideri gli immigrati come un enorme patrimonio da valorizzare (ed è altrettanto urgente investire su una politica demografica che non costringa le donne a scegliere tra l’essere madri o lavoratrici: le donne che lavorano devono essere favorite in tutti i modi, con asili nido, asili nido aziendali, buoni per aiutare nell’aggravio economico, congedi per maternità, lotta senza quartiere alla discriminazione delle donne). In buona sostanza, un’integrazione efficace dei migranti e dei loro figli nel mercato del lavoro è fondamentale sia per sostenere la competitività dell’Europa sia per mantenere l’attuale capacità produttiva: è su queste forze che si basa il nostro welfare, in particolare le pensioni. A questi lavoratori – di cui abbiamo bisogno – vanno però assicurati alloggi, formazione linguistica, supporto logistico e sanitario andando oltre il messaggio “prima gli italiani”: è un messaggio contro gli stranieri, ma denota anche l’assenza della politica, sacrificata alla demagogia.

È da queste premesse di fondo che siamo partiti martedì 15 marzo nel seminario che ho voluto promuovere al Parlamento Europeo in collaborazione con la CNA. Sviluppando il tema – “Politiche immigratorie, Pmi e imprenditorialità” – sono stati presentati i risultati di uno studio condotto dall’IDOS su “imprenditorialità e immigrazione”: è emerso come la crescente partecipazione al mondo del lavoro autonomo e imprenditoriale, oltre ad essere uno degli aspetti che più caratterizza il contributo degli immigrati al sistema economico-produttivo italiano ed europeo, è soprattutto una grande opportunità di integrazione economica e sociale. In Italia questa realtà crea il 6,5% del valore aggiunto nazionale, ma si tratta di un capitale umano ancora largamente sottoutilizzato, e questo avviene per diverse ragioni: complessità delle procedure per l’ottenimento di un permesso di lavoro, pratiche discriminatorie, difficoltà che frenano il consolidamento e la crescita (appesantimenti fiscali e burocratici, riconoscimento delle qualifiche, accesso al credito). Non aiuta l’attuale approccio dell’UE alla migrazione per lavoro: c’è un’eccessiva frammentazione, con numerose direttive concentrate su determinate categorie di lavoratori e di cittadini di paesi terzi che sono autorizzati, a determinate condizioni, a lavorare. È un’ulteriore conferma del fatto che l’accoglienza degli immigrati non può essere lasciata allo spontaneismo, ma necessita di una politica basata sul binomio diritti/doveri e di politiche interculturali e sociali efficaci miranti a favorire il dialogo e l’integrazione tra gli immigrati e la comunità di accoglienza (per fare un esempio: i ricongiungimenti familiari sono uno strumento fondamentale per favorire l’integrazione).

Si tratta, chiaramente, di processi enormi e quindi è fondamentale un approccio europeo alla migrazione, con un sistema comune di asilo per agire concretamente, con giustizia e umanità. Abbiamo dei doveri legati ai valori della nostra civiltà e al diritto internazionale, e dobbiamo ricordare che queste persone prima sono profughi e richiedenti asilo, successivamente possono ottenere lo status di rifugiati, ma se non ottengono questo status non sono clandestini, entrati illegalmente. Queste donne, bambini, uomini sfuggono a fame, malattie, miseria e per sopravvivere arrivano da noi che abbiamo il dovere di intervenire e di aiutarli. Trovando, con una politica all’altezza, l’incrocio tra la loro drammatica situazione e il nostro bisogno di lavoratrici e lavoratori: è quello che ha fatto la Merkel.

Per concludere, credo che l’Unione Europea debba da qui in avanti lavorare con più forza su due fronti: primo, la politica estera dell’Unione -nelle sue azioni di aiuto umanitario, di cooperazione, di commercio e di difesa – deve essere in grado di affrontare le cause profonde della migrazione; secondo, con le sue politiche interne – in settori quali occupazione, istruzione e sanità, da rendere accessibili a tutti – deve convertire le sfide poste dalle pressioni migratorie e dalla crisi dei rifugiati in una risorsa fondamentale per lo sviluppo economico, sociale e culturale delle nostre società.

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