Lo scandalo Volkswagen non sia scaricato sui lavoratori e sull’economia europea.

Non basta denunciare lo scandalo Volkswagen, occorre assumere iniziative precise per affrontare e risolvere tutte le questioni collegate ad una delle più colossali truffe dell’era contemporanea. Di queste iniziative si deve far carico la “politica”, tenendo insieme tre esigenze: punire duramente i responsabili, evitare che i danni siano scaricati su centinaia di migliaia di posti di lavoro e sull’industria europea ed aprire una riflessione radicale sulle regole e sul loro rispetto. È in gioco la possibilità di governare la globalizzazione evitando che la nostra economia sia travolta dalla logica del massimo profitto.

Siamo di fronte, lo dico senza perifrasi, alla truffa più grande di sempre: milioni di auto truccate, milioni di consumatori danneggiati, miliardi di euro di danni; questa settimana il Ceo, Matthias Muller, davanti ai 20 mila dipendenti di Wolfsburg ha chiarito che i 6,5 miliardi di euro accantonati dal gruppo non saranno sufficienti a far fronte allo scandalo sulle emissioni truccate. Uno scandalo che si consuma in un settore delicato, quello dell’inquinamento, che consente un inciso connesso al dibattito sul TTIP: il movimento antiTTIP europeo si fonda sul presupposto che gli Usa, in fatto di ambiente e di qualità del cibo, siano meno affidabili e meno impegnati degli europei e che un accordo di libero scambio finirebbe con l’abbassare le tutele e le precauzioni che abbiamo conquistato in Europa. Quanto successo con la casa automobilistica tedesca dimostra che nessuno può salire in cattedra e che, invece – unendo le opinioni pubbliche e i sistemi di controllo – si favoriscono i cittadini consumatori e gli utenti. È la dimostrazione che o ci si fa carico di governare i processi complessi che attraversiamo nella dimensione corretta oppure, nel tempo globale, saremo necessariamente governati da forze non democratiche, mosse solo dalla logica del profitto. In questo senso è necessaria la forza della politica anche per evitare che la scelta di alcuni soggetti di far installare un software in grado di modificare i parametri della centralina diventi un dramma sociale per un numero enorme di famiglie. Il gruppo Volkswagen occupa, infatti, 600 mila persone: non sono gli operai, i tecnici, gli impiegati a dover pagare, il danno non può essere scaricato sulle lavoratrici e sui lavoratori, ma devono rispondere i dirigenti, i manager, coloro che hanno permesso la truffa. Perché di questo si è trattato, di un intervento – preciso e calcolato – su un software. Un elemento tecnico puntuale, che non può diventare certo l’espediente per attaccare le grandi conquiste di innovazione che abbiamo raggiunto nel settore dei motori diesel, una specificità europea che i produttori di automobili USA sarebbero sicuramente interessati a demolire, per conquistare ulteriori quote di mercato.

Volkswagen è un patrimonio europeo, non solo tedesco, nel contesto della nostra straordinaria industria automobilistica: non buttiamo il bambino con l’acqua sporca (vogliamo forse iniziare anche ad importare massicciamente le auto?), riaffermiamo l’urgenza di rispettare le regole e di praticare un modello di sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale. È questa la cultura d’impresa e del lavoro che l’Europa – senza tentennamenti – deve affermare nel mondo.

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